Storie

Storie di Matany. Racconti di vita, di tempo, di cambiamento.
Chiunque decida di impegnarsi per Matany contribuisce alla sua identità e alla sua crescita. L’Ospedale ha una storia corale iniziata nel 1970 e da allora arricchita da medici, volontari, giovani specializzandi che lo vivono e lo raccontano ognuno dal proprio punto di vista.
Ecco le loro esperienze.

  • Una pediatra volontaria in Uganda: la testimonianza di Laura Bisoffi

    Laura Bisoffi, giovane pediatra italiana, ha scelto di dedicare il suo tempo e la sua esperienza all’Ospedale di Matany, in Uganda. Dopo aver trascorso sei mesi nel 2023 come Junior Professional Officer (JPO), Laura è tornata volontariamente all’inizio del 2024, supportata dal Gruppo Matany, che ha coperto le spese del viaggio.

    “Matany è per me casa,” racconta Laura. In questa comunità straordinaria, il Saint Kizito Hospital rappresenta un faro di speranza per tutta la regione del Karamoja. Qui, Laura lavora con un team locale nel reparto di pediatria, dove sono ricoverati circa 100 bambini di età compresa tra due settimane e 12 anni.

    Le principali cause di ricovero includono malattie infettive come malaria e polmonite, oltre alla gestione della malnutrizione acuta severa. Inoltre, l’ospedale è in procinto di completare un nuovo reparto di terapia intensiva neonatale (NICU), una struttura all’avanguardia per la cura di neonati prematuri e critici, la cui apertura è prevista per luglio 2024.

    “Alakara nooi”, che significa “grazie mille” nella lingua locale, è il modo con cui Laura descrive il suo sentimento verso questa esperienza: gratitudine per le persone incontrate, per il supporto ricevuto e per i piccoli pazienti che ogni giorno le ricordano il valore del suo lavoro.

    L’Ospedale di Matany continua a essere un esempio di solidarietà e progresso grazie a medici come Laura e al supporto di organizzazioni come il Gruppo Matany.

  • Caterina Da Pozzo racconta la sua visita a Matany

    Sono arrivata a Matany il 27 settembre. Da allora ho visitato diverse unità del Saint Kizito Hospital di Matany che attualmente ospita 4 reparti: Maternity, dedicato alla salute materna e neonatale, Childrens’ Ward, Medical Ward e Surgical Ward.
    Nella sua organizzazione essenziale, e pur nei mezzi limitati, l’ospedale è complessivamente ben funzionante. A testimoniarlo c’è la devozione del personale, ma soprattutto quella della comunità locale: moltissimi pazienti giungono da molto lontano, magari con mezzi di fortuna, bypassando altri ospedali di riferimento, per essere seguiti a Matany, di cui evidentemente
    riconoscono la qualità.
    La mia impressione al momento è quello di star ricevendo molto più di quanto io possa restituire: ogni giorno imparo qualcosa dai medici più esperti che, a dispetto del carico di lavoro e del tempo, che non è mai abbastanza, non perdono occasione per spiegare qualcosa.
    La parola d’ordine dei medici tutor nei confronti dei loro “intern”, giovani medici ugandesi in attesa di abilitazione, è “exposure”, alla clinica, alla pratica chirurgica, alla responsabilità: fondamentale è dunque imparare facendo.
    Ho trovato non solo lo staff medico, ma anche tutti gli infermieri e chi lavora
    nell’amministrazione sempre disponibile e pronta a risolvere ogni dubbio.
    Come avevo scritto nella lettera motivazionale prima di venire qui a Matany: sono contenta e soddisfatta di avere iniziato così il mio percorso professionale, alla scoperta di un modo di fare medicina che non è quello a cui sono abituata, e di una cultura e territorio non facilmente conoscibile in altri modi.

  • Lettera di un aspirante infermiere

    Cari soci e amici,

    Sono O.S., ugandese, originario del villaggio di Kanangar, sottocontea di Lokopo, distretto di Napak. Sono nato da una famiglia poligama con 9 mogli, e di più di 20 figli avuti da mio padre, sono il penultimo di sei fratelli della mia madre biologica.

    I miei genitori divorziarono quando io ero ancora molto piccolo. Io fui affidato a mio padre e così iniziò il mio calvario, in cui passai da matrigna in matrigna. Avevo solo quattro anni quando fui mandato a lavorare come pastore. Le eerano lunghe e io ero sempre affamato. Girando per i villaggi con gli animali, trovai una scuola, che iniziai a frequentare mentre gli animali pascolavano lì vicino. Ciò che mi attrasse non furono solo le lezioni, ma soprattutto il porridge che veniva servito a pranzo. Quando mio padre scoprì che frequentavo illegalmente la scuola fui picchiato e ripudiato. Nonostante le difficoltà riuscii a finire le elementari.

    A seguire sarei voluto entrare in seminario, ma nessuno era disposto a pagare le tasse scolastiche. Chiesi aiuto a mia madre, che mi aiutò a sporgere denuncia contro mio padre e che quindi in seguito fu obbligato per legge a pagare per la mia istruzione. Non appena non fu più tenuto a pagare interruppe i pagamenti. La scuola mi consentì di proseguire gli studi anche dopo, ma così facendo contrassi dei debiti che non fui mai in grado di pagare e per i quali alla fine fui espulso.

    Non ho mai perso la speranza, sono rimasto a casa per un altro anno, mi sono dato da fare e sono riuscito a raccogliere qualche soldo, che mi ha consentito di iscrivermi ad un’altra scuola con delle tasse più basse, per conseguire la maturità. Dio ha benedetto la mia caparbietà e sono riuscito a sostenere gli esami.

    Dopo la maturità sono rimasto di nuovo bloccato, sono rimasto a casa per 3 anni alla ricerca di supporto o borsa di studio che mi aiutasse a frequentare una scuola di istruzione superiore o di avviamento al lavoro, purtroppo invano. Nel 2022, ho fatto domanda alla scuola per infermieri e ostetriche St Kizito anche se non potevo permettermelo. Anche in questo caso, purtroppo invano.

    Nel frattempo ho conosciuto Brother Gunther, CEO dell’ospedale di Matany, e gli ho chiesto darmi qualunque tipo di lavoro e, grazie a Dio, sono stato assegnato dall’assistente di radiologia, con cui lavoro ormai da circa 5 mesi.

    I miei obiettivi e l’amore per la scuola sono ancora forti. Il poco che ricevo alla fine del mese mi aiuta a sopravvivere, mando un po’ per aiutare i miei fratelli e un po’ lo metto da parte per il futuro. Questo mese ho fatto nuovamente domanda alla scuola per infermieri e ho fatto i colloqui per il nuovo anno scolastico e sono fiducioso di poter essere preso in considerazione. La domanda su come pagare le tasse scolastiche rimane senza risposta, ma Dio è con noi.

    Saluti!

    O.S.

  • Intervista a Emanuela Borghi, Senior Medical Officer a Matany

    Intervista a Emanuela Borghi, Senior Medical Officer a Matany

    Intervista a Emanuela Borghi, Senior Medical Officer. Emanuela è la responsabile del Medical Ward, il reparto di Medicina Generale.

    L’intervista è stata realizzata da Caterina Rho durante la visita a Matany  nel gennaio di quest’anno.

    Di cosa vi occupate al Medical Ward, che tipo di patologie vedete piú frequentemente?

    “Le patologie piú frequenti in questo momento sono: tutti i casi complicati di cirrosi post epatite B, polmoniti, tubercolosi (sia polmonare, sia ossea). Ogni settimana mando due o tre casi al reparto TB. Altre patologie frequenti sono anemia e casi neurologici  come ictus e meningiti. Ci sono tanti ictus tra la gente anziana. Siamo in un paese tropicale e molti pensano che ci siano soprattutto malattie infettive, ma in realtà sono molto frequenti anche tutte le patologie non infettive, anzi, sono in aumento.”

    Come mai? C’è un’aspettativa di vita piú alta? Ci sono piú anziani? 

    “Probabilmente sí. Non so come fosse la situazione 40 anni fa, ma io ho diversi pazienti anziani. Qui non abbiamo l’anagrafe, ma si arriva anche ai 70, 80 anni di età. 

    Persone anziane anche per standard italiani? 

     “Si’, anziani veri. Inoltre, ci sono tanti pazienti cardiopatici. Questi possono essere giovani o anziani. Ci sono tanti giovani che sviluppano una cardiopatia post traumatica, accade piú di frequente. Cardiopatie che potrebbero beneficiare di un intervento chirurgico: i pazienti vanno incontro a un’insufficienza cardiaca e alla morte. Qui dove si possono mandare pazienti anziani per un intervento? Pare che gli ospedali governativi intervengano almeno in parte fino a ottant’anni, ma servono moltissimi soldi. Nonostante in teoria l’intervento sia gratis negli ospedali pubblici, in realtà bisogna pagare lo stesso una cifra significativa. Qui  a Matany dunque vediamo cardiopatici adulti ipertesi che si complicano con cardiopatie.”

    Quando siamo andati a parlare con il Vescovo a Moroto il prima problema sociale attuale che ci ha citato è l’alcolismo, questo si vede riflesso nei casi di cirrosi epatica?

    “La maggior parte delle cirrosi epatiche sono post epatitiche, perché i pazienti non sono stati vaccinati. Poi ci sono anche quelle da alcol, ma è la minoranza.”

    Per ora dunque non avete un numero significativo di patologie che dipendono da alcol o sostanze?

    “Ci sono anche le cirrosi epatiche post alcoliche. Non possiamo verificare, ma probabilmente ci sono pazienti con problemi psichiatrici legati all’alcolismo. Ne sospettiamo diversi, ma non possiamo provarlo. C’é parecchio disagio psichico, con tentativi di suicidio. A volte per delle stupidaggini: litigano con il marito, litigano con il figlio, con la suocera. Prendono il veleno, il piú comune è l’organofosfato, che viene usato come antiparassitario per le mucche. Ne arrivano tanti, veramente tanti di questi casi, di tutte le età e di entrambi i sessi. Tra i pazienti con complicazioni da cirrosi epatica ne arrivano moltissimi che vomitano sangue.”

    Considerando la tua esperienza a Matany e guardando al futuro, avresti dei suggerimenti per migliorare il Medical Ward? Ci sono necessità particolari dove il Gruppo di Appoggio di Milano puó contribuire?

    “Tra i pazienti del Medical Ward anche i casi di diabete sono piuttosto frequenti, specialmente diabete di tipo 1: questo problema colpisce diversi ragazzi. Purtroppo per il momento non ho la pompa per dare l’insulina. Uso un vecchio metodo che in generale funziona, ma è un sistema un po’ empirico: l’insulina intramuscolo. Per essere più precisi  con la dose servirebbe una pompa per iniettare l’insulina in vena. Non so quanto costi questa pompa, ma sarebbe un aiuto. Un’altra cosa che potrebbe servire é un elettrocardiografo. Ne abbiamo uno molto vecchio, che adesso funziona ma non so fino a quando funzionerà. Il CUAMM ne ha comprato uno nuovo per il reparto TB, ma serve per i pazienti in terapia per la tubercolosi multiresistente. Abbiamo già Il monitor per monitorare la pressione, donato non so da chi ma le istruzioni sono in italiano, quindi deve essere un dono dall’Italia.”

  • Lettera del dottor Sebastiano Cipriano, responsabile del Programma CUAMM

    Lettera del dottor Sebastiano Cipriano, responsabile del Programma CUAMM

    Il dottor Sebastiano Cipriano oggi a Matany, e già medico a Matany per tre anni dal 1985 al 1987, ci scrive:

    Carissimi del Gruppo di Appoggio Ospedale di Matany, sono stato a Matany un anno esatto, dal 7 gennaio del 2015 al 7 gennaio di questo anno. Il mio incarico consisteva nel gestire il Reparto di Chirurgia dell’Ospedale, fare da tutor a un JPO [Junior Professional Officer] italiano specializzando in chirurgia e gestire il programma della tubercolosi multi-resistente nel distretto di Napak, che praticamente nasceva con il mio arrivo a Matany. Fare chirurgia è il mio lavoro, ma la tubercolosi è una patologia infettiva che un chirurgo non è abituato ad affrontare. Queste sono le sfide che l’Africa ci mette di fronte, d’altra parte sapevo bene come si lavora in Karamoja, essendo già stato a Matany, per circa 3 anni, esattamente 30 anni fa. Così ho dovuto documentarmi, improvvisarmi infettivologo e capire cosa fosse la TB multi-resistente, mi sono ritrovato in un ambito a me desueto ma molto interessante. Il fatto di uscire dall’Ospedale e fare le supervisioni negli Health Center e nei villaggi dove si trovavano i pazienti affetti dalla malattia mi ha permesso di conoscere molte persone e la realtà esterna all’Ospedale: ciò ha reso ancora più interessante questa mia esperienza.

    Ho toccato con mano la realtà dei villaggi, quanto poveri siano i Karimojong, quanto sia diversa la loro cognizione del tempo, della vita, della morte.

    Ho toccato con mano la realtà dei villaggi, quanto poveri siano i Karimojong, quanto sia diversa la loro cognizione del tempo, della vita, della morte.
    La cosa che mi ha più colpito è il fatto che siamo sempre stati accolti con calore; direi che l’accoglienza è una delle note caratteristiche di questo popolo, nonostante i Karimojong negli anni passati si fossero guadagnati la fama di popolo truce e violento. Altra cosa che mi ha colpito è che non posso dire di avere incontrato persone infelici, nonostante l’estrema povertà.

    In questo anno ho incontrato molte persone straordinarie, come fratel Günther, comboniano tedesco tetragono e teutonico; grazie a lui l’Ospedale riesce, nonostante mille difficoltà, per lo più economiche, a fornire un servizio prezioso e regolare a questa gente. E che dire di suor Giovanna, vicentina, a volte un po’ ruvida, ma sempre efficiente nel gestire il magazzino e riuscire a trovare ogni giorno i presidi sanitari di cui abbisognavamo? E la dottoressa Emanuela, in Uganda dal 1999, che gestisce la Medicina e che quando le ho chiesto per quanto tempo pensava di rimanere ancora a Matany candidamente mi ha risposto: “Questa è la mia vita!”. Senza dimenticare il dinamico Vescovo Damiano e i padri missionari che ho incontrato, come padre John Bosco, comboniano ugandese parroco a Matany, e Padre Denis, anche lui giovanissimo padre comboniano Acholi, finito per amore del Padre tra gli atavici nemici della sua gente, segno profetico di speranza per un futuro senza guerre tribali, in Uganda e in tutta l’Africa. Ma non solo loro, vorrei ricordare anche padre Aldo, padre motociclista, padre Marco che gira il Karamoja con la sua ruspa, suor Bruna che ho ritrovato dopo 30 anni, e suor Angiolina, Alphonse, Sophia la mia caposala, e i medici ugandesi che sono veramente tanto bravi… tutti hanno lasciato un segno nel mio cuore.

    Sebastiano Cipriano

  • Il semestre di tirocinio clinico a Matany di Simonetta Masaro

    Il semestre di tirocinio clinico a Matany di Simonetta Masaro

    La Dottoressa Simonetta Masaro, specializzanda in Chirurgia al IV anno, ha trascorso nl 2014 un semestre di tirocinio clinico a Matany. Questa è una sua testimonianza:

    «Una grande palestra per imparare a non giudicare, a mettersi in discussione, a capire che esistono cultu­re drammaticamente diverse. Un lunedì mattina arri­va una madre che ha camminato non so quante ore per venire dal suo villaggio, al collo ha un bambino di tre mesi, è ustionato sul cinquanta per cento del corpo, ci racconta che è stata l’acqua bollente di un pentolone. La situazione è drammatica, prima lo reidratiamo, poi de­cidiamo di portarlo in sala operatoria per togliergli tut­to il tessuto morto. Una cosa terribile, gli asporto tutta la pelle bruciata, si staccano anche le falangette delle dita delle mani. Poi facciamo le medicazioni e lo portiamo nel reparto insieme alla mamma. Due giorni dopo la situazione è miracolosamente buona, vado a trovarlo e lo vedo che poppa dal seno del­la madre, una ripresa incredibile.

    Giovedì torno a visitarlo ed è vispo, migliora in modo veloce, la mamma allora mi chiede quanto tempo ci vorrà perché guarisca. Chiamiamo la traduttrice e le spiego che forse serviranno tre mesi, ma che per almeno sessanta giorni devono restare qui, per cambiare le medicazioni ed evitare infezioni, che al vil­laggio nelle case di fango e paglia sarebbero quasi certe. Lei mi guarda fissa e resta in silenzio. La saluto, le pro­metto che tornerò a trovarli sabato, dopo la riunione set­timanale di tutti i medici. Non li vedrò mai più.

    È il pediatra ad aprire la riunione con la notizia: ‘II bambino di tre mesi, quello con le ustioni, è morto’.

    Non ci posso credere, penso di non aver capito niente, che si stia sbagliando, faccio altre domande e il pediatra ripete la frase in modo automatico. Chiedo allora come sia stato possibile e la risposta mi devasta: ‘Giovedì, dopo il giro delle visite, la mamma ha smesso di allattarlo, lo ha rifiutato, lo ha lasciato solo ed è tornata al villaggio. Il bambino non ce l’ha fatta ed è morto’.

    Ho cominciato a piangere di dolore e di rabbia, lo avevamo salvato, era suo figlio e lei lo abbandona, lo lascia morire. Avrei voluto cercarla per gridarle il mio disprezzo, e per tutta la giornata ho pensato che davve­ro non ne valeva la pena. Poi un medico africano mi ha avvicinato e mi ha detto: ‘Ha dovuto scegliere, a casa ha sette bambini e non poteva restare qui due mesi. È la stagione del raccolto e, se non fosse tornata al villag­gio, avrebbe condannato alla fame gli altri bambini. Ha sacrificato il più piccolo per salvare gli altri, per tornare nei campi, per preparare da mangiare. Forse non capirai mai, ma questa è la realtà delle cose’. Quel giorno ho imparato a fare il mio lavoro senza giudicare, a capi­re, anche se questo non significa accettare”».

  • Intervista a Gianluigi (Gigi) Rho

    Intervista a Gianluigi (Gigi) Rho, primo medico Cuamm dell’ospedale di Matany in Uganda. Proteso all’altro, appassionato del suo lavoro, innamorato della vita e dell’uomo. La cura di chi è in condizioni di fragilità, perché povero o malato, espressione di una più larga attenzione alla persona. Un lavoro instancabile e appassionato in mezzo alla gente, tra i più vulnerabili, in Africa prima e in Italia poi.