Dal punto di vista topografico-ambientale il Karamoja può essere diviso in tre larghe zone:
a) le montagne rocciose orientali (monte Kadam; sorgenti d’acqua dell’Arii; monti di Moroto e colline a nord di Moroto);
b) l’area centrale caratterizzata da corsi fluviali a regime torrentizio;
c) le pianure occidentali, che giacciono nell’area dove i fiumi si allargano nelle paludi stagionali e nelle paludi permanenti sul confine dei Teso.
Il terreno e la vegetazione variano marcatamente in ciascuna delle tre zone.
Nella zona delle montagne rocciose orientali il terreno sovrastante la roccia é scarso e di varia composizione: vulcanica, sabbiosa, con protrusione di rocce di basamento. Nella zona centrale il suolo é costituito da una mistura di sabbia, argilla e detriti alluvionali.
La zona occidentale, infine, é caratterizzata da un terreno argilloso, con spartiacque formati da cordoni di terra sabbiosa rossa.
In Karamoja esiste una lunga stagione secca che dura da ottobre a marzo e una stagione delle piogge, durante la quale la piovosità è di 400-600 mm/anno. Ci sono zone dove raramente si superano i 125mm. Le poche piogge sono spesso torrenziali e causano erosione al suolo.
La vegetazione è tipica dell’ambiente di savana, con arbusti spinosi e rare acacie di media altezza, nelle aree centrali, mentre nelle aree vicino ai rilievi la vegetazione è rigogliosa durante le piogge. E’ evidente che la configurazione topografica del Karamoja comporti enormi difficoltà di sfruttamento del suolo da parte di un popolo dagli scarsi mezzi tecnologici qual é quello karimojong. Su una morfologia siffatta gioca un ruolo fondamentale l’alternanza delle stagioni, in un ritmico susseguirsi di periodi di akipor (pioggia) e di akamu (siccità).
Esistono poi due stagioni intermedie caratterizzate da fasi intercalari tra le due fondamentali: l’atepunet, prima dell’inizio delle piogge e l’aiet prima, dell’inizio della stagione secca. Durante la stagione delle piogge le precipitazioni piovose variano considerevolmente. Un’ampia generalizzazione consente di calcolare la media di precipitazioni piovose in 625 mm., nella maggior parte delle pianure, e in 875 mm., nelle zone intorno alle montagne. La stagione delle piogge inizia generalmente tra marzo e aprile e termina tra settembre e ottobre. La stagione secca non vede importanti precipitazioni, se non le occasionali erupengirupei (piogge dell’erba). Ma ciò che contraddistingue queste stagioni, più ancora che questi dati medi, è la grandissima variabilità della durata e delle caratteristiche di esse, che devono considerarsi fenomeni locali molto capricciosi, sia relativamente ai vari anni che, in uno stesso anno, da zona a zona. Questa caratteristica stagionale ha imposto agli abitanti una precisa e minuziosa definizione dei fenomeni che riguardano l’acqua. Tenendo presente che un solo fiume, il Kanyangareng-Suam-Turkwell, ha carattere permanente, tutti gli altri hanno funzione di scarico stagionale dell’acqua e passano attraverso tre stadi. Nella zona vicino alla sorgente i corsi sono ripidi con erti spartiacque e non trascinano detriti. A questi corsi portano acqua gli akao-ngakaoi (affluenti più piccoli). Nella parte centrale i corsi, denominati ayonai-ngayonai, scorrono più lentamente su letti sabbiosi. Nella parte più bassa i fiumi, chiamati angolol-ngangololin, serpeggiano sempre di più con letti più larghi e considerevole trasporto di detriti alluvionali. Raggiungono, così, le pianure argillose dell’ovest per degenerare in ejom-ngijomia (paludi stagionali), che a loro volta scaricano le acque in paludi permanenti.
Questi corsi d’acqua hanno caratteristiche così temporanee che nella parte superiore del loro corso portano acqua per poche ore immediatamente dopo una precipitazione piovosa (il letto di un fiume sabbioso e un fiume sabbioso secco).
L’acqua viene catturata in ebur-ngiburin e abwal-ngiabwalin (serbatoi rocciosi naturali), a seconda della forma e della misura, e lì resta per periodi variabili. L’acqua scende con grande impeto anche nella parte centrale sabbiosa, con variazioni di livello fino a due metri all’ora circa. Poi il flusso gradatamente diminuisce e dopo due o tre giorni il letto é nuovamente secco. Complessivamente, in questa parte dei fiumi l’acqua é presente in modo evidente per circa trenta giorni all’anno, ma la sabbia del letto ne é molto ricca e si può raccogliere scavando.
Gli ngikorin (i pozzi) scavati in questi letti possono durare anche tutto l’anno. Il corso del fiume può essere seguito dalla vegetazione che cambia: aminit (Acacia Gerardii), ekoromevoi (Acacia Seyal), ayelel (Acacia Drepanolobium).
Infine, nelle zone paludose l’acqua viene trattenuta per due o tre mesi nel corso della stagione secca. Da ultimi esistono sistemi naturali di conservazione dell’acqua, soprattutto nell’area centrale e sulle montagne, costituite da angaamit-ngangamito (cavità e depressioni della roccia), dove l’acqua può essere trattenuta per alcune settimane, mentre nei settori occidentali queste asasak-ngasasaka (depressioni) sono costituite da argilla nera.
Questa minuziosa classificazione delle forme di risorsa idrica è riportata non per una semplice curiosità geografica, ma per rendere evidente l’enorme importanza che l’acqua riveste in questo ambiente desertico. Il carattere stagionale e occasionale della scarsa disponibilità d’acqua impongono, infatti, alla popolazione karimojong uno stile di vita seminomade.
Gli spostamenti vengono effettuati al fine di sfruttare al massimo le caratteristiche ambientali, prima fra tutte la risorsa idrica: in tal senso é comprensibile come questa naturale fonte di vita sia stata, dai Karimojong stessi, osservata e catalogata con una nomenclatura così minuziosa e precisa.
La caratteristica di semi-nomadismo di tale popolazione deriva da una specie di compromesso tra la tendenza ad avere una zona di residenza stabile e la necessità di reperire mezzi naturali per lo sviluppo degli armenti, quando questi non siano disponibili nella zona di residenza, il che é quasi la regola.
Le coltivazioni di alcune specie di granaglie (sorgo e in minima parte mais) sono tentate dopo ogni pioggia fino a giugno, allo scopo di permettere la sussistenza nel periodo di migrazione del bestiame verso i pascoli esterni e nei periodi di carestia.
L’ecologia karimojong può essere così definita come un accanito e multiforme sfruttamento di un habitat semi-arido le cui risorse naturali sono precarie ai fini della sussistenza umana e frequentemente soggette a fluttuazioni scarsamente prevedibili.
I Karimojong, per necessità di sopravvivenza, sono costretti alla mobilità e alle frequenti separazioni dei gruppi. Tali movimenti introducono caratteristiche di flessibilità e di discontinuità nell’organizzazione sociale, da tenere presenti per comprendere il loro comportamento in generale.